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Rivolta in Libia: tutte pedine?!?!


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Questa discussione ha avuto 14 risposta/e

#1
johnny88

johnny88

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Ragazzi non so voi, ma io maturo sempre più la convinzione che questa guerra non è nient' altro che un diversivo che permetterebbe agli americani di metter mano sui pozzi petroliferi Libici, gli unici che non sono ancora sotto il controllo delle multinazionali.. sfruttano la massa per i loro scopi..secondo me non se ne fottono dei diritti umani, perchè in Africa e nel medio-oriente ci sono molte altre sommosse contro le dittature ma nessuno se ne frega, probabilmente perchè non hanno interessi a farlo.. e in più, noi Italiani stiamo sempre nel mezzo senza prendere una posizione solidale.. che cavolo svolazzano a fare i nostri aerei nei cieli della Libia se non aprono il fuoco?!?! Fanno la bella presenza??? Quella della missione umanitaria è un'emerita cavolata, perchè la gente non si sta li, ma emigra e sbarcano tutti a Lampedusa. Bah, non so cosa pensare!!!


"Il vero aspetto di tutti i fenomeni può essere compreso e condiviso solo tra Budda. Questa realtà consiste di: aspetto, natura, entità, potere, azione, causa interna, relazione, effetto latente, retribuzione e della loro coerenza dall'inizio alla fine"

#2
caputo88

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Non è un dubbio, è una certezza. Guarda la mappa delle guerre nel mondo e trai da solo le tue conclusioni

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Inoltre, per comprendere il comportamento ambiguo dell'Italia, che prima dice: "Povero Gheddafi", poi dice: "Appoggiamo USA, GB e Francia", e poi ancora ridice: "Povero Gheddafi" (notizia di ieri sera questa), ti posto questo articolo:


Dopo aver celebrato in sordina il Centocinquantenario dell’Unità, il Governo italiano ha scelto d’aggiungere ai festeggiamenti uno strascico molto particolare: una guerra in Libia. Un conflitto che sa tanto di amarcord: la Libia la conquistò Giolitti nel 1911, la “pacificò” Mussolini nel primo dopoguerra, e fu il principale fronte italiano durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa volta, però, le motivazioni sono molto diverse.

Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: solo uno sprovveduto potrebbe pensare che l’imminente attacco di alcuni paesi della NATO alla Libia sia davvero motivato da preoccupazioni “umanitarie”. Gheddafi, certo, è un dittatore inclemente coi suoi avversari. Ma non è più feroce di molti suoi omologhi dei paesi arabi, alcuni già scalzati dal potere (Ben Alì e Mubarak), altri ancora in sella ed anzi intenti a soffiare sul fuoco della guerra (gli autocrati della Penisola Arabica).

L’asserzione dell’ex vice-ambasciatore libico all’ONU, passato coi ribelli, secondo cui sarebbe in atto un «genocidio», rappresenta un’evidente boutade. È possibile ed anzi probabile che Gheddafi abbia represso le prime manifestazioni contro di lui (come fatto da tutti gli altri governanti arabi), ma l’idea che abbia impiegato bombardamenti aerei (!) per disperdere cortei pacifici è tanto incredibile che quasi sarebbe superflua la smentita dei militari russi (che hanno monitorato gli eventi dai loro satelliti-spia).

Non è stato necessario molto tempo perché dalle proteste pacifiche si passasse all’insurrezione armata, ed a quel punto è divenuto impossibile parlare di “repressione delle manifestazioni”. Anche se i giornalisti occidentali, ancora per alcuni giorni, hanno continuato a chiamare “manifestanti pacifici” gli uomini che stavano prendendo il controllo di città ed intere regioni, e che loro stessi mostravano armati di fucili, artiglieria e carri armati (consegnati da reparti dell’Esercito che hanno defezionato e forse anche da patroni esterni). Da allora Gheddafi ha sicuramente fatto ricorso ad aerei contro i ribelli, ma i pur numerosi giornalisti embedded nelle fila della rivolta non sono riusciti a documentare attacchi sui civili. La stessa storia delle “fosse comuni”, che si pretendeva suffragata da un’unica foto che mostrava quattro o cinque tombe aperte su un riconoscibile cimitero di Tripoli, è stata presto accantonata per la sua scarsa credibilità.

La guerra civile tra i ribelli ed il governo di Tripoli, che prosegue – a quanto ne sappiamo – ben poco feroce, giacché i morti giornalieri si contano sulle dita di una o al massimo due mani, stava volgendo rapidamente a conclusione. Il problema è che a vincere era, agli occhi d’alcuni paesi atlantici, la “parte sbagliata”. La storia – in Krajina, in Kosovo, persino in Iràq – ci ha insegnato che, generalmente, gl’interventi militari esterni fanno più vittime di quelle provocate dai veri o presunti “massacri” che si vorrebbero fermare. In Krajina, ad esempio, i bombardamenti “umanitari” della NATO permisero ai Croati d’espellere un quarto di milione di serbi: una delle più riuscite operazioni di “pulizia etnica” mai praticate in Europa, almeno negli ultimi decenni.

Le motivazioni reali dell’intervento, dunque, sono strategiche e geopolitiche: l’umanitarismo è puro pretesto. In questo sito si può leggere molto sulle reali motivazioni della Francia, degli USA e della Gran Bretagna (vedasi, ad esempio: Intervista a Jacques Borde; Libia: Golpe e Geopolitica di A. Lattanzio; La crisi libica e i suoi sciacalli di S.A. Puttini). Motivazioni, del resto, facilmente immaginabili. Qui ci sofferemo invece sulle scelte prese dal Governo italiano.

Cominciamo dall’inizio. Prima dell’esplodere dell’insurrezione, l’Italia ha un rapporto privilegiato con la Libia. Il nostro paese è innanzi tutto il maggiore socio d’affari della Jamahiriya: primo acquirente delle sue esportazioni e primo fornitore delle sue importazioni. La Libia vende all’Italia quasi il 40% delle sue esportazioni (il secondo maggior acquirente, la Germania, raccoglie il 10%) e riceve dalla nostra nazione il 18,9% delle sue importazioni totali (il secondo maggiore venditore, la Cina, fornisce poco più del 10%). La dipendenza commerciale della Libia dall’Italia è forte, dunque, ma è probabile che il rapporto abbia maggiore valenza strategica per noi che per Tripoli. La Libia possiede infatti le maggiori riserve petrolifere di tutto il continente africano (per giunta petrolio d’ottima qualità), è geograficamente prossimo al nostro paese e dunque si profila naturalmente come fornitore principale, o tra i principali, di risorse energetiche all’Italia. La nostra compagnia statale ENI estrae in Libia il 15% della sua produzione petrolifera totale; tramite il gasdotto Greenstream nel 2010 sono giunti in Italia 9,4 miliardi di metri cubi di gas libico. I contratti dell’ENI in Libia sono validi ancora per 30-40 anni e, malgrado l’atteggiamento italiano che analizzeremo a breve, Tripoli li ha confermati il 17 marzo per bocca del ministro Shukri Ghanem. Attualmente la Libia concede ad imprese italiane tutti gli appalti relativi alla costruzione d’infrastrutture, garantendo così miliardi di commesse che si ripercuotono positivamente sull’occupazione nel nostro paese. Infine la Libia, che grazie alle esportazioni energetiche è un paese relativamente ricco (ha il più elevato reddito pro capite dell’Africa), investe in Italia gran parte dei suoi “petrodollari”: attualmente ha partecipazioni in ENI, FIAT, Unicredit, Finmeccanica ed altre imprese ancora. Un apporto fondamentale di capitali in una congiuntura caratterizzata da carenza di liquidità, dopo la crisi finanziaria del 2008.

Tutto ciò fa della Libia un caso più unico che raro, dal nostro punto di vista, tra i produttori di petrolio nel Mediterraneo e Vicino Oriente. Quasi tutti, infatti, hanno rapporti economici privilegiati con gli USA e con le compagnie energetiche anglosassoni, francesi o asiatiche.

La relazione italo-libica è stata suggellata nel 2009 dal Trattato di Amicizia, Partenariato e Cooperazione, siglato a nome nostro dal presidente Silvio Berlusconi ma derivante da trattative condotte già sotto i governi precedenti, anche di Centro-Sinistra. Tale trattato, oltre a rafforzare la cooperazione in una lunga serie di ambiti, impegnava le parti ad alcuni obblighi reciproci. Tra essi possiamo citare: il rispetto reciproco della «uguaglianza sovrana, nonché tutti i diritti ad essa inerenti compreso, in particolare, il diritto alla libertà ed all’indipendenza politica» ed il diritto di ciascuna parte a «scegliere e sviluppare liberamente il proprio sistema politico, sociale, economico e culturale» (art. 2); l’impegno a «non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte» (art. 3); l’astensione da «qualsiasi forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte» (art. 4.1); la rassicurazione dell’Italia che «non userà, né permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia» e viceversa (art. 4.2); l’impegno a dirimere pacificamente le controversie che dovessero sorgere tra i due paesi (art. 5).

L’Italia è dunque arrivata all’esplodere della crisi libica come alleata di Tripoli, legata alla Libia dalle clausole – poste nero su bianco – di un trattato, stipulato non cent’anni fa ma nel 2009, e non da un governo passato ma da quello ancora in carica.

L’atteggiamento italiano, nel corso delle ultime settimane, è stato incerto ed imbarazzante. Inizialmente Berlusconi dichiarava di non voler “disturbare” il colonnello Gheddafi (19 febbraio), mentre il suo ministro Frattini agitava lo spettro di un “emirato islamico a Bengasi” (21 febbraio). Ben presto, però, l’insurrezione sembrava travolgere le autorità della Jamahiriya e l’atteggiamento italiano mutava: Frattini inaugurava la corsa al rialzo delle presunte vittime dello scontro, annunciando 1000 morti (23 febbraio) mentre Human Rights Watch ancora ne conteggiava poche centinaia; il ministro della Difesa La Russa (non si sa in base a quali competenze specifiche) annunciava la sospensione del Trattato di Amicizia italo-libica, sospensione per giunta illegale (27 febbraio). Gheddafi riesce però a ribaltare la situazione e parte alla riconquista del territorio caduto in mano agl’insorti. Man mano che le truppe libiche avanzano, il bellicismo in Italia sembra spegnersi: il ministro Maroni arriva ad invitare gli USA a «darsi una calmata» (6 marzo). Ma la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 17 marzo, che dà il via libera agli attacchi atlantisti sulla Libia, provoca una brusca virata della diplomazia italiana: il nostro governo mette subito a disposizione basi militari ed aerei per bombardare l’ormai ex “amico” e “partner”.

È fin troppo evidente come il Governo italiano abbia, in questa vicenda, manifestato un atteggiamento poco chiaro e molto indeciso; semmai, s’è palesata una spiccata propensione ad ondeggiare a seconda degli eventi, cercando di volta in volta di schierarsi col probabile vincitore. Come già in altre occasioni recenti di politica estera, il Capo del Governo è parso assente, lasciando che suoi ministri dettassero o quanto meno comunicassero alla nazione la linea dell’Italia. L’ambivalenza ha scontentato sia il governo libico, che s’aspettava una posizione amichevole da parte di Roma, sia i ribelli cirenaici, che hanno ricevuto sostegno concreto dalla Francia e dalla Gran Bretagna ma non certo dall’Italia. Infine, il Trattato di Amicizia, siglato appena due anni fa, è stato stracciato e Berlusconi si prepara, seppur sotto l’égida dell’ONU, a scendere in guerra contro la Libia.

Qualsiasi sarà l’esito dello scontro, l’Italia ha già perduto la sua campagna di Libia. I nostri governanti, memori della peggiore specialità nazionale, hanno celebrato il Centocinquantenario dell’Unità con un plateale voltafaccia ai danni della Libia: una riedizione tragicomica del dramma dell’8 settembre 1943. Questa volta non sarà l’Italia stessa, ma l’ex “amica” Libia, ad essere consegnata ad una guerra civile lunga e dolorosa, che senza ingerenze esterne si sarebbe conclusa entro pochi giorni.

Ma non si sta perdendo solo la faccia e l’onore. Le forniture petrolifere e le commesse, comunque finirà lo scontro, molto probabilmente passeranno dalle mani italiane a quelle d’altri paesi: se non tutte, in buona parte. Se vincerà Gheddafi finiranno ai Cinesi o agl’Indiani; se vinceranno gl’insorti ai Francesi ed ai Britannici; in caso di stallo e guerra civile permanente in Libia resterà poco da raccogliere. Se non ondate d’immigrati ed influssi destabilizzanti per tutta la regione.

#3
caputo88

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Altro articolo legato al tema:

Fra tante brutte notizie, la guerra in Libia ci porta, di tanto in tanto, anche qualche piccola soddisfazione. Quest’oggi, tra le buone notizie reperite sul web che appendo in bella vista sulla mia bacheca nell’incessante ricerca di eventi gaudiosi per cui valga ancora la pena di vivere, c’è questo articolo del Daily Mail. In esso veniamo informati come tra le prime vittime della guerra di Libia e delle pantegane che l’hanno organizzata nei minimi dettagli e poi scatenata, vi siano proprio i coglioni che l’hanno appoggiata con gioia, accogliendo i ratti di fogna con gran sventolìo di bandierine stellate e strisciate. Cito dal testo dell’articolo:


“Sei abitanti di un villaggio libico sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati colpiti con armi da fuoco da alcuni soldati americani intervenuti in soccorso di piloti americani il cui aereo si era schiantato in un campo vicino. L’elicottero di soccorso ha iniziato a sparare subito dopo essere atterrato in un campo a poca distanza da Bengasi, accanto all’aereo F-15E Eagle della US Air Force che aveva avuto problemi durante i bombardamenti della scorsa notte.
Un manipolo di abitanti del luogo, venuto a congratularsi con i piloti, è stato colpito dalle raffiche. Tra essi, un bambino cui dovranno probabilmente essere amputate le gambe a causa delle ferite provocate dai proiettili.
Si tratta delle prime vittime accertate dell’operazione alleata. L’editore internazionale di Channel Four, Lindsey Hilsum, ha confermato le vittime civili.
L’equipaggio dell’aereo da combattimento era riuscito a salvarsi miracolosamente dopo un sospetto guasto meccanico verificatosi durante la terza notte di bombardamenti sulle postazioni militari del Col. Gheddafi.
Secondo l’Evening Standard, uno dei piloti, vistosi circondato dai locali, ha sollevato le braccia gridando “okay, okay”. Ma i libici, colmi di gratitudine, si sono messi in fila per ringraziarlo e offrirgli da bere.
Younis Amruni racconta al giornale: “L’ho abbracciato e gli ho detto: ‘Non aver paura. Noi siamo grati a questi uomini che proteggono il cielo”. L’aereo, con base a Lakenheath nel Suffolk, era decollato da Aviano, in Italia, ma era poi precipitato mentre sorvolava Bu Mariem, circa 24 miglia a est di Bengasi.
I rottami dell’aereo verranno recuperati o distrutti dagli americani, per impedire che cadano nelle mani di Gheddafi, mentre i piloti sono stati visitati da un medico nella roccaforte ribelle, prima di essere trasportati su una nave americana.
L’esercito americano ha confermato lo schianto di un Air Force F-15 Strike Eagle in Libia, ma afferma che esso non è stato abbattuto [no, no, e chi ha mai detto una cosa simile, NdT], mentre Vince Crawley, portavoce dell’Africa Command, ha detto che i piloti sono riusciti ad espellersi prima dello schianto, riportando solo ferite lievi.
Dopo aver valutato le reazioni degli abitanti della zona, la Hilsum ha dichiarato: “I libici non sembrano risentiti, vogliono ancora che le forze della coalizione proseguano con le operazioni”.


Non so dire quanto di quest’ultima dichiarazione corrisponda ai reali sentimenti dei bifolchi del luogo e quanto di essa sia invece propaganda delle forze armate. Non mi meraviglierei se si trattasse della pura verità. E’ noto – e io lo ripeto spesso – che non c’è verso di far rinsavire una collettività di idioti. Più l’ideologia d’accatto che ottenebra le loro menti li prende a cazzotti nel muso, più implorano nuove e più possenti batoste. Torna alla memoria un film di Tim Burton di qualche anno fa, cinico e meravigliosamente educativo, Mars Attacks. In esso, i marziani invadono la Terra e i terrestri, anziché lanciargli addosso un centinaio di bombe atomiche, come la prudenza e la ragione consiglierebbero, li accolgono a braccia aperte facendo sfoggio di tutta la retorica, tutto il buonismo, tutta l’ideologia zuccherosa e melensa, tutta la vanvera sulla “democrazia” e sulla “fratellanza dei popoli” di cui la specie umana è capace quando gli dà davvero di volta il cervello. I marziani, ovviamente, sghignazzano in faccia ai terrestri e li massacrano a grappoli, sbigottiti ed esilarati dinanzi a cotanta decerebrazione parolaia. Alla fine, l’unica cosa in grado di distruggere gli extraterrestri sarà quella stessa melassa buonista portata ai suoi livelli più letali e insostenibili, sotto forma delle insopportabili canzonette d’amore di Slim Whitman.
L’Italia intera avrebbe molte cose da imparare dal film di Tim Burton. Ad esempio, tra poco più di un mese saremo costretti a celebrare il 66° anniversario di quella che chiamiamo la nostra “liberazione”. Ora, a me vengono in mente molte nazioni che sono state sconfitte, distrutte e qualche volta umiliate dagli Stati Uniti d’America. Ma non riesco a ricordarne nessuna ridotta a tali livelli di sguatteraggio da essere costretta addirittura a celebrare, con apposita festività nazionale, la propria sconfitta, rovinosa e umiliante; e a chiamarla pure “liberazione”, tra gli sghignazzi dei roditori alieni da cui è stata conquistata. La reazione dei bifolchi di Bengasi di fronte ai “liberatori” che li prendono a mitragliate, in qualche modo mi conforta: è probabile che ben presto non saremo più soli in questa manifestazione grottesca di vergogna terminale.
Oppure: mi vengono in mente molte nazioni che, nel corso della storia, si sono avventurate in guerre rischiose, inseguendo litanìe ideologiche e slogan propagandistici di diversa imbecillità. Ma non avevo mai visto una nazione avviarsi, intonando i peana ideologici della “libertà” e della “democrazia”, in un conflitto il cui scopo dichiarato è quello di ledere i suoi interessi nazionali. La fanteria italica della logorrea libertaria marcia spedita, sotto la frusta dei suoi capi, verso la devastazione dei suoi interessi energetici, verso l’ignominia diplomatica internazionale, verso la rinuncia alla sua area naturale d’interesse geostrategico. E non – si badi bene – nell’interesse dei suoi despoti, verso i quali, com’è comprensibile, la resistenza potrebbe costare cara; bensì nell’interesse dei suoi concorrenti di zona, di altri sguatteri di pari livello che hanno avuto l’intelligenza di calare meno le brache, conquistandosi così, se non il rispetto dei padroni, almeno la prima fila nelle razzie banditesche che seguiranno alla battaglia. I capi puniscono severamente le ribellioni dei servi, ma disprezzano con altrettanta forza la loro mancanza di dignità.
Eppure le fanfare ideologiche dell’armata di lavapiatti risuonano squillanti, tra blàtere di “autodeterminazione dei popoli” e sputazzi di “dittatori da rovesciare”. Il morale della truppaglia è alto. Forse perché essa si muove sulle note dell’aria che le è più congeniale, quella della pugnalata alle spalle ai danni di un vicino che le aveva garantito, nel tempo, appalti energetici vantaggiosi, commesse milionarie per le sue aziende piccole e grandi, contributi al pattugliamento delle sue coste contro l’immigrazione incontrollata. Si fa fatica a comprendere il tripudio con cui quest’armata di lemming si dirige verso l’abisso che scruta esultante dinanzi a sé. Solo l’antico apologo esopico dello scorpione e della rana riesce a fornirci qualche illuminazione in merito.
Ricordo di aver letto da qualche parte che, durante il periodo della tratta degli schiavi, i negrieri statunitensi erano soliti tagliare i piedi ai prigionieri che tentavano di fuggire. Ma non avevo mai sentito parlare di negri che si tagliassero i piedi da soli per poi dividerne i resti, con pavida imparzialità, tra gli aguzzini e i compagni di deportazione. Per quanto mi sforzi, non rammento culture sulla faccia di questo pianeta che abbiano mai praticato costumanze di simile, delirante squallore. Gli italiani non appartengono a questo mondo: sono extraterrestri. Ed è rincuorante apprendere, grazie alla dabbenaggine suicida dei bifolchi di Bengasi, che non siamo soli in questo universo.

#4
caputo88

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Oppure ancora:

di Giancarlo Perna

da Il Giornale di martedì 22 marzo 2011



Il conflitto non è dettato da ragioni umanitarie, ma dagli interessi politici ed economici degli altri Paesi europei. L`Italia paga il conto
Ci assicurano che Gheddafi non ha missili per colpirci e che perciò possiamo stare tranquilli. Bè, a me non basta per accettare l`idea di fargli la guerra. Ho letto le ragioni invocate per la campagna militare: i motivi umanitari, la crudeltà del rais, il futuro della gioventù araba, ecc. Egualmente, da cittadino comune, non capisco perché l`Occidente si creda in diritto di attaccare la Libia e meno che mai mi rallegro che l`Italia guidata da Berlusconi si sia allineata alla decisione.
Gheddafi è un comune tiranno arabo come tanti nella regione. Lo è da 41 anni, è stato mandante della strage di Lockerbie e nella discoteca tedesca.
Da diversi anni ha però scelto la legalità internazionale e i suoi uomini siedono nel consigli di amministrazione dell’Occidente. Dunque, dargli del terrorista oggi che non lo è più, è un controsenso e non giustifica la guerra.
Quella libica è una tirannia? Non lo è anche quella siriana, iraniana, sudanese, solo per stare negli immediati dintorni.
Che si fa, si bombarda tutti? Si dice: il rais sta combattendo i suoi stessi connazionali.
Ma che deve fare uno Stato se un gruppo di cittadini si ribella, non con manifestazioni di piazza come in Tunisia e in Egitto, ma con bombardamenti e cannonate come in Cirenaica? Non ha forse il diritto - e l’obbligo morale verso il Paese – di riportare l’ordine? Si chiamano guerre civili e ci sono passati tutti. In primis, europei e americani che oggi in Libia si ingeriscono, come se l’avvenimento fosse inaudito, in nome dell’emergenza umanitaria. Per tacere dei morti che la «pacificazione» porterà con sé.
Ma poi su che basi il galletto francese e gli altri Rambo scelgono di appoggiare i ribelli anziché i seguaci del leader libico? Secondo quale criterio gli uni sono i buoni e gli altri i cattivi? Se parliamo di numeri, tutto fa pensare che i sostenitori del rais siano la maggioranza del Paese e allora con quale raziocinio noi stranieri dovremmo appoggiare una minoranza? Perché si è rivoltata contro Gheddafi che a noi non piace? Ma a tanti libici piace. Oppure perché ci siamo fitti in capo che sono giovani, navigano su internet e sognano una democrazia all’occidentale? E’ quello che ha detto con ciglio bagnato Napolitano parlando di un «nuovo risorgimento del mondo arabo» che va protetto come una primula dal gelo. Chissà a quali fonti esclusive si è abbeverato il presidente, visto che l`intera vicenda libica è dominata dalla disinformazione.
Noi, meno privilegiati di lui, ci limitiamo a ricordare che, appena conquistata la loro fetta di sabbia, gli insorti hanno proclamato un Califfato vattelappesca. Il che, con buona pace di Napolitano e Sarkozy, la dice lunga sulla china delle cose.
Gheddafi è tacciato di inaudita crudeltà. Quello cui l’Onu aveva affidato la commissione sui diritti umani - e che ora vuole morto - è da qualche settimana il «sanguinario» dittatore. Lo dicono gli inviati tv sul posto che, scomposti ed eccitati, hanno cercato di convincerci che in Cirenaica sia in corso la conta finale tra Bene e Male. Dunque, giusto abbatterlo. Che il rais sia un poco di buono non ci piove. Ma se il criterio è quello delle mani grondanti, che dire allora del suo vicino, il despota sudanese Al Bashir? E’ quello del decennale genocidio dei suoi compatrioti nel Darfur: 300mila morti, 2,5 milioni di profughi. Se è lo spirito umanitario a guidare Sarkozy & co. in Libia, perché non spingersi fino a Khartum e dare una lezione anche a quel tirannello islamico? Perché solo Gheddafi? Petrolio e vite da salvare ci sono anche altrove. Ma loro, chissà perché, puntano a Tripoli.
L’errore del rais è stato privilegiare Silvio Berlusconi. Il Cav lo ha tanto imbambolato che quello ci ha riempito di idrocarburi e annessi. Può darsi che al fondo dell`eccitazione bellica del galletto parigino ci sia l’invidia per quei trafficoni di italiani. Ciò che è certo, è che la guerra alla Libia è un attacco all`Italia e ai suoi interessi. Noi a Tripoli ci stavamo benissimo. Eravamo i primi partner commerciali, dopo avere sepolto il passato con un trattato di imperitura amicizia tra ex colonizzatori e colonizzati. Con la guerra, abbiamo perso tutti i vantaggi e si riparte da zero.
Prima di bastonare il rais, i franco-anglo-americani hanno dunque randellato noi. Sa perciò di beffa l’attuale alleanza con chi ci ha turlupinato. Il governo spiega che è necessario partecipare alla guerra - aldilà delle fanfaluche umanitarie - per sedere al tavolo della pace e spartire il bottino. Ma, in ogni caso, sarà meno di ciò che già avevamo.
Non sarebbe stato meglio mediare tra Occidente e Libia, fare capire che non si entra in casa altrui a capriccio solo perché si ha la bomba più grossa? Magari andando incontro a qualche attrito con Obama e il galletto ma facendoci rispettare. Certo, i palestrati avrebbero egualmente fatto di testa loro, ma sapendo che gli stavamo col fiato sul collo. Tanto più che eravamo in ottima compagnia con la Germania che all’Onu si è astenuta. Potevamo dichiararci neutrali anche noi, in coerenza con i nostri sentimenti e con gli interessi calpestati.
Insomma, mettere almeno il broncio. Invece, ci siamo precipitati a sospendere il trattato di amicizia col rais, in vigore da pochi mesi, rinfocolando la nomea dell’Italia voltagabbana e inaffidabile. Per poi infilarci l’elmetto, fingendoci entusiasti, e offrire sette - dico sette - basi militari per portare le bombe in Libia e rivendicando come un onore il coordinamento delle operazioni.
Per me, è intrappolarsi da soli.
La guerra l’hanno voluta insieme maggioranza e opposizione (con un’astensione per parte, Lega e Idv), ma sotto schiaffo è solo il Cav. Se va storto pagherà lui. A naso, direi che il grosso degli elettori di centrodestra è contraria.
Berlusconi fa sapere di essere stato trascinato dagli eventi.
Non è una scusa da statista.
Vero è che la mosca cocchiera è stata Napolitano. Con un profluvio di dichiarazioni si è detto per la guerra con Obama e il premier anziché metterlo a tacere - «governo io!» - si è fatto prendere la mano.
Cav, mi consenta: non ascolti mai gli ex comunisti quando ci sono di mezzo gli Usa.
Ricorda come D’Alema si mise sull’attenti davanti a Clinton ficcandoci nella guerra serba? È un riflesso condizionato.
Per farsi perdonare il servilismo con Mosca, oggi sono proni a Washington. Abituati a obbedire, hanno spento il cervello. Non li segua su questa strada che a ogni ora si lastrica di nuovi morti.

#5
Ale89

Ale89

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Ribadisco solo due cose per chi è ancora scettico sulla motivazione di questa guerra..


Uno: C'è lo spettro di Al-Qaeda dietro le rivoluzioni in Nord-Africa: Al-Quaeda che nel corso di quest'ultimo decennio come tutti sappiamo ha portato gli USA a conquistare Iraq e Afghanistan. Diciamo che se non fosse per l'attacco terroristico(Siamo sicuri che si tratti di un attacco terroristico o di un piano folle ben studiato? Ricordiamo come è salito al potere Hitler...) quest'organizzazione ha fruttato molti introiti allo zio Sam. Ah un'altra cosa: il "capo" di Al-quaeda Osama Bin Laden è stato di sicuro affiliato alla CIA per scacciare i sovietici dall'Afghanistan nel '79 inoltre ci sono alcune fonti http://www.gexplorer...armente-pagato/ che affermano che Osama sia regolarmente pagata dagli USA. Conclusione: Troppi collegamenti per pensare che non ci siano "spinte" degli Usa e degli Stati Occidentali in genere dietro queste rivoluzioni.. (Ricordo inoltre che la Libia ha il più alto reddito pro-capite del nord Africa, non stanno quindi poi cosi malaccio).

Due: C'è una chiara campagna mediatica per screditare il governo "ex-partner" libico. Chi ha seguito nei giorni antecedenti il consiglio di Parigi i servizi di telegiornali quali studio aperto o tg1 (so cosa state pensando in questo momento prrr) ha potuto notare se li ha seguiti con attenzione che qualcosa non quadrava:
Vi ricordate quel servizio di Mattino Cinque(diretto da Claudio Brachino) in cui si seguiva il giudice Mesano (giudice che ha condannato Fininvest) e noto per la frase: Porta calzini azzurri, Dio, che squallore e poco stile: per fortuna che noi Italiani migliori non siamo così..???
Qualcosa di simile è successo anche in questi giorni, e riguardava lo stile del Colonnello Gheddafi.. Ora mi chiedo, perchè anzichè mostrare immagini sulle presunte stragi mi fate vedere come si veste? La risposta che mi sono dato è che le immagini non ci sono (ricordo che ci sono molti reporte in questi giorni in Libia) perchè non ci sono state stragi, e che quindi l'unico modo per fare preparazione psicologica alla guerra è screditare la PERSONA Gheddafi.

Un'ultima cosa... I nostri cugini Francesi intanto passavano armi ai ribelli gia prima della risoluzione ONU, questo ci fa capire quanto ci tengono a far vincere i ribelli.


Vi lascio con una domanda:
Sono stato a Roma durante la protesta per la riforma universitaria, e ho potuto notare di persona come la polizia reagiva alla presenza di noi ragazzi armati di insalata rucola e cavolfiori, che volevamo avanzare verso il Parlamento con intenti pacifici..
Ora, cosa sarebbe successo se mi fossi presentato con un mitra a Roma e avessi voluto far fuori Berlusconi o la Gelmini? Penso che mi avrebbero sparato per legittima difesa o una cosa del genere..
E se al posto di andare solo io col mitra fossimo andati in 100 col mitra a Roma?
La polizia avrebbe potuto sparare a tutti senza violare alcuna legge..
La domanda è.. Gheddafi non è un santo, non lo voglio difendere, ma voi cosa fareste al posto suo se la popolazione unita a terroristi di Al quaeda o anche solo popolazione civile girasse per le città con i mitra in mano e minacciasse la stabilità politica??
Fieru cu biessi quiddhu ca tie 'uè biessi e none quiddhu ca l'auri te dicenu cu 'sinti! SUD SOUND SYSTEM - Nun me fannu paura
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Qualcosa di simile è successo anche in questi giorni, e riguardava lo stile del Colonnello Gheddafi.. Ora mi chiedo, perchè anzichè mostrare immagini sulle presunte stragi mi fate vedere come si veste? La risposta che mi sono dato è che le immagini non ci sono (ricordo che ci sono molti reporte in questi giorni in Libia) perchè non ci sono state stragi, e che quindi l'unico modo per fare preparazione psicologica alla guerra è screditare la PERSONA Gheddafi.


Premetto che non ho seguito tutta la discussione, comunque giusto una cosa: IO HO VISTO proprio in TV le immagini sulle pile di cadaveri di gente ammazzata dai militari comandati da Gheddafi, i bambini feriti negli ospedali. Quindi non diciamo fesserie.
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#7
Blackjack

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Altro articolo legato al tema:

Fra tante brutte notizie, la guerra in Libia ci porta, di tanto in tanto, anche qualche piccola soddisfazione. Quest’oggi, tra le buone notizie reperite sul web che appendo in bella vista sulla mia bacheca nell’incessante ricerca di eventi gaudiosi per cui valga ancora la pena di vivere, c’è questo articolo del Daily Mail. In esso veniamo informati come tra le prime vittime della guerra di Libia e delle pantegane che l’hanno organizzata nei minimi dettagli e poi scatenata, vi siano proprio i coglioni che l’hanno appoggiata con gioia, accogliendo i ratti di fogna con gran sventolìo di bandierine stellate e strisciate. Cito dal testo dell’articolo:


“Sei abitanti di un villaggio libico sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati colpiti con armi da fuoco da alcuni soldati americani intervenuti in soccorso di piloti americani il cui aereo si era schiantato in un campo vicino. L’elicottero di soccorso ha iniziato a sparare subito dopo essere atterrato in un campo a poca distanza da Bengasi, accanto all’aereo F-15E Eagle della US Air Force che aveva avuto problemi durante i bombardamenti della scorsa notte.
Un manipolo di abitanti del luogo, venuto a congratularsi con i piloti, è stato colpito dalle raffiche. Tra essi, un bambino cui dovranno probabilmente essere amputate le gambe a causa delle ferite provocate dai proiettili.
Si tratta delle prime vittime accertate dell’operazione alleata. L’editore internazionale di Channel Four, Lindsey Hilsum, ha confermato le vittime civili.
L’equipaggio dell’aereo da combattimento era riuscito a salvarsi miracolosamente dopo un sospetto guasto meccanico verificatosi durante la terza notte di bombardamenti sulle postazioni militari del Col. Gheddafi.
Secondo l’Evening Standard, uno dei piloti, vistosi circondato dai locali, ha sollevato le braccia gridando “okay, okay”. Ma i libici, colmi di gratitudine, si sono messi in fila per ringraziarlo e offrirgli da bere.
Younis Amruni racconta al giornale: “L’ho abbracciato e gli ho detto: ‘Non aver paura. Noi siamo grati a questi uomini che proteggono il cielo”. L’aereo, con base a Lakenheath nel Suffolk, era decollato da Aviano, in Italia, ma era poi precipitato mentre sorvolava Bu Mariem, circa 24 miglia a est di Bengasi.
I rottami dell’aereo verranno recuperati o distrutti dagli americani, per impedire che cadano nelle mani di Gheddafi, mentre i piloti sono stati visitati da un medico nella roccaforte ribelle, prima di essere trasportati su una nave americana.
L’esercito americano ha confermato lo schianto di un Air Force F-15 Strike Eagle in Libia, ma afferma che esso non è stato abbattuto [no, no, e chi ha mai detto una cosa simile, NdT], mentre Vince Crawley, portavoce dell’Africa Command, ha detto che i piloti sono riusciti ad espellersi prima dello schianto, riportando solo ferite lievi.
Dopo aver valutato le reazioni degli abitanti della zona, la Hilsum ha dichiarato: “I libici non sembrano risentiti, vogliono ancora che le forze della coalizione proseguano con le operazioni”.


Spero che tu stesso abbia letto per bene questo articolo, dice delle cose errate.
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#8
Ale89

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Qualcosa di simile è successo anche in questi giorni, e riguardava lo stile del Colonnello Gheddafi.. Ora mi chiedo, perchè anzichè mostrare immagini sulle presunte stragi mi fate vedere come si veste? La risposta che mi sono dato è che le immagini non ci sono (ricordo che ci sono molti reporte in questi giorni in Libia) perchè non ci sono state stragi, e che quindi l'unico modo per fare preparazione psicologica alla guerra è screditare la PERSONA Gheddafi.


Premetto che non ho seguito tutta la discussione, comunque giusto una cosa: IO HO VISTO proprio in TV le immagini sulle pile di cadaveri di gente ammazzata dai militari comandati da Gheddafi, i bambini feriti negli ospedali. Quindi non diciamo fesserie.


sei sicuro che si tratti di gente ammazzata dall'esercito? Hai visto fori di proiettili?
Hai visto il video mentre vengono sparate?
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#9
Blackjack

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Ma se ragioniamo così allora tanto vale mettere la testa sottoterra e negare ogni cosa... a questo punto anche l'Olocausto può essere stato una montatura mediatica, con i filmati che in realtà sono stati girati da attori e i presunti testimoni pagati profumatamente...

Sinceramente io sono stato sempre contrario alle guerre in Iraq (per invaderlo Bush mise in mezzo le scuse ridicolissime delle armi biologiche, che non sono mai state trovate) e in Afghanistan (sono ancora convinto che l'11 settembre sia stata opera del governo americano, ma vabbè). Penso però che questo caso sia diverso. Perchè è stato deciso di intervenire proprio in Libia, e non altrove? Perchè in Libia, a Tripoli, all'inizio delle proteste già c'erano cecchini appostati sui tetti a sparare ai manifestanti. Perchè per ora solo in Libia hanno usato aerei per bombardare civili, solo in Libia stanno arrivando orde di mercenari pagati profumatamente da Gheddafi. L'accusa degli interessi economici è un'accusa qualunquista, dato che, volendo, ci sono fortissimi interessi occidentali anche in altri paesi come Egitto e Yemen, dove fino ad adesso non vi è stato alcun intervento (in particolare in Egitto, dove non c'è stato bisogno di ammazzare chi protestava, ma la transizione è avvenuta senza intoppi, mentre Gheddafi reprime nel sangue ogni manifestazione e rivolta).

Gli interessi economici OVVIAMENTE ci sono, su questo non ci sono dubbi, e noi italiani siamo probabilmente i primi interessati in questo senso. E allora? Se togliendo di mezzo un dittatore abbiamo la possibilità di avere dei vantaggi NOI e anche dei vantaggi gli stessi libici, che da mesi protestano per avere un governo democratico, perchè non farlo? Questo è ben diverso da ciò che è successo in Afghanistan e in Iraq, dal momento che non è prevista alcuna "invasione", e tecnicamente non siamo in guerra.

Però vedi, alla fine il discorso è sempre lo stesso. Se l'occidente interviene, allora si accusa l'occidente di imperialismo e del fatto che non si fa mai i fatti suoi, se non si interviene allora ci si lamenta di questo occidente che si fa solo i fatti suoi. Se si interviene solo in alcuni posti e in altri no allora ci si lamenta degli interessi economici.

Il paragone che hai fatto con le proteste in Italia lo trovo alquanto ardito, per continuare il paragone avresti dovuto dire che la folla prima di imbracciare 100 mitra con l'intento di ammazzare ministri e governanti, è stata PER PRIMA attaccata da elicotteri e cecchini dell'esercito che hanno fatto strage di civili innocenti.
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#10
Ale89

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Vorrei tanto chiudere il discorso, per non essere noioso..
Ma sei sicuro che sono comparsi per prima i cecchini sui tetti?
Sei sicuro che delle persone, ricordo di fede islamica, possano uccidere dei bambini per difendere un dittatore?
Sei sicuro di quello che ti stanno raccontando?
Beh se mi rispondi che sei sicuro il discorso è chiuso qui perchè abbiamo opinioni diverse..
Le mie risposte sarebbero tutte NO, non mi fido!
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#11
Blackjack

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Ma sei sicuro che sono comparsi per prima i cecchini sui tetti?

Si, ricordo molto bene quando lo lessi, in quel periodo stavano ancora protestando in Egitto contro Mubarak ed erano appena iniziate le proteste a Tripoli.

Sei sicuro che delle persone, ricordo di fede islamica, possano uccidere dei bambini per difendere un dittatore?

I bambini che ho visto erano state vittime dei bombardamenti, comunque si, la storia è piena di esempi del genere. E gli americani (e anche noi italiani, diciamocelo) non sono da meno.

Sei sicuro di quello che ti stanno raccontando?

Ovviamente no, o meglio non di tutto. E' da quando sono iniziate le proteste in Egitto che dico che ci sono gli americani dietro, ma adesso al di là degli interessi esterni più o meno nascosti, rimane il fatto che Gheddafi è un dittatore sanguinario che andrebbe arrestato e processato da un tribunale internazionale per crimini contro l'umanità. E questo basta a giustificare la risoluzione delle Nazioni Unite che ha autorizzato le operazioni aeree in Libia. Però bisogna dire che effettivamente Francia e Stati Uniti stanno esagerando, stanno andando al di là del mandato.
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#12
caputo88

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Vabè, BlackJack che i morti civili ci siano stati è fuori dubbio (dovuti sia alle milizie ribelli, sia alle milizie "Gheddafiane").

Ora però non voglio credere che tu sia veramente convinto che la motivazione di questa guerra sia quella di salvaguardare il rispetto dei diritti umani. Essi andrebbero SICURAMENTE salvaguardati, ma ciò andrebbe fatto seguendo una strategia d'azione del tutto diversa da quella attuata in questi giorni dalla NATO. E SOPRATTUTTO, dovrebbe essere effettuata INDISCRIMINATAMENTE E SENZA ALCUN INTERESSE in tutte le regioni del mondo dove tali diritti vengono violati (e non sono poche, vedi la mappa nel primo articolo).

Detto ciò, il succo degli articoli sopra postati ed a voi proposti è che l'Italia in tutto ciò ne uscirà una me**a. I nostri politici sono degni responsabili non solo di una politica interna, ma anche di una politica estera indescrivibilmente vergognosa. E tengo a sottolineare che sono coinvolte tutte le fazioni in questa decisione (solo Lega e IDV si sono astenuti) compreso il beneamato e glorificato presidente della Repubblica.

P.S.Per me è importante che queste cose si sappiano, per questo ho postato gli articoli e sono contento che alcuni di voi siano propensi alla discussione. Bisogna aprire gli occhi ed iniziare ad essere un pò liberi con la mente e con il pensiero.

P.P.S. Ale89 mi fai commuovere :cray: prrr

#13
caputo88

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LETTERA APERTA DEI MEDICI RUSSI IN LIBIA

AL PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA



24 marzo 2011, Tripoli, Libia


Al Presidente della Federazione Russa D. Medvedev

Al Primo Ministro della Federazione Russa V. Putin

dai cittadini di Ucraina, Bielorussia e Russia che lavorano in Libia

Gentili Sig. ri Medvedev e Vladimir Putin,




Ci avete spiegato che i cittadini della ex Unione Sovietica erano destinati a divenire oggi cittadini di una comunità comprendente differenti stati slavi: Ucraina, Bielorussia, Russia. Nonostante questo, noi crediamo che sia la Russia, in quanto erede dell’URSS, la nostra sola protezione per gli interessi delle nostre nazioni e per la sicurezza dei nostri cittadini. E’ per questo che ci appelliamo a voi, in cerca di aiuto e di giustizia.


Oggi assistiamo ad una plateale aggressione degli USA e della NATO contro un paese sovrano, la Libia. E se qualcuno ancora ne dubita, noi affermiamo trattarsi di un fatto ovvio e ben noto, poiché tutto sta accadendo sotto i nostri occhi e le azioni degli USA e della NATO minacciano la vita non solo dei cittadini della Libia, ma anche di noi che ci troviamo sul suo territorio. Siamo indignati per i barbari bombardamenti della Libia perpetrati in questo momento dalla coalizione USA-NATO.


Il bombardamento di Tripoli e di altre città della Libia non ha per obiettivo soltanto i sistemi di difesa aerea e i velivoli dell’aviazione libica e non è rivolto soltanto contro l’esercito, ma ha preso di mira anche le infrastrutture civili e militari. Oggi, 24 marzo 2011, gli aerei degli USA e della NATO hanno bombardato per tutta la notte e tutta la mattina un quartiere di Tripoli, Tajhura (dove si trova fra l’altro il Centro di Ricerca Nucleare libico). Le difese aeree e i velivoli situati a Tajhura erano già stati distrutti nei primi 2 giorni di attacchi e in città rimanevano altre installazioni militari in attività, ma oggi l’obiettivo dei bombardamenti sono le baracche dell’esercito libico, intorno alle quali vi sono quartieri residenziali densamente popolati; lì vicino si trova anche il più grande centro di cardiologia del paese. I civili e i medici non avrebbero mai potuto immaginare che si sarebbe arrivati a distruggere normali quartieri residenziali, perciò nessuno dei residenti o dei pazienti dell’ospedale era stato evacuato.


Le bombe e i missili hanno colpito le abitazioni civili e sono caduti vicino all’ospedale. I vetri del centro cardiologico sono andati in frantumi e nell’edificio riservato alle partorienti con problemi cardiaci sono crollati un muro e parte del tetto. Ciò ha provocato dieci aborti, la morte dei neonati e il ricovero delle madri nel reparto di cura intensiva; i medici stanno lottando per salvare loro la vita. Noi e i nostri colleghi stiamo lavorando sette giorni alla settimana nella speranza di salvare qualcuno. E tutto questo è la diretta conseguenza del lancio di bombe e di missili contro edifici residenziali, che hanno provocato dozzine di morti e di feriti che il nostro personale cerca di operare e visitare. Un numero così enorme di morti e di feriti, come quello registrato oggi, non si era avuto durante l’intera durata delle insurrezioni in Libia. E questo lo chiamano “proteggere la popolazione civile”?



Con la piena responsabilità di testimoni e di persone partecipi di quanto sta accadendo, noi dichiariamo che gli Stati Uniti e i loro alleati stanno perpetrando un genocidio contro il popolo libico, come già avvenuto in Yugoslavia, Afghanistan e Iraq. I crimini contro l’umanità compiuti dalle forze della coalizione ricordano quelli commessi in Germania, dove pure i civili venivano fatti a pezzi allo scopo di suscitare orrore e di spezzare la resistenza del popolo (la Germania lo ricorda e per questo ha deciso di non partecipare a questo nuovo massacro). Oggi essi mirano, con metodi simili, a far sì che il popolo libico rinunci al proprio capo e al proprio legittimo governo e ceda senza fiatare la propria ricchezza nazionale alle forze della coalizione.



Comprendiamo bene che appellarsi alla “comunità internazionale” per salvare il popolo della Libia e tutti coloro che vivono in Libia sarebbe perfettamente inutile. La nostra sola speranza è la Russia, che possiede diritto di veto all’ONU, e in particolare i suoi capi, il Presidente e il Primo Ministro.



Confidiamo ancora in voi, come in voi abbiamo confidato in passato, quando prendemmo la decisione di restare in Libia per aiutare il suo popolo, dedicandoci anima e corpo al dovere medico. Dopo il fallito colpo di stato alla fine di febbraio, la situazione in Libia si era calmata e il governo era riuscito a ripristinare l’ordine. Tutti in Libia sapevano che senza l’intervento americano, il paese sarebbe ben presto ritornato alla sua vita normale. Convinti che la Russia, col suo potere di veto, non avrebbe permesso l’aggressione degli Stati Uniti e dei suoi alleati, abbiamo deciso di restare in Libia, ma ci siamo sbagliati: la Russia, sfortunatamente, ha creduto alle false rassicurazioni degli americani e non si è opposta alla decisione criminale di Francia e Stati Uniti.



Noi siamo ucraini, russi e bielorussi, persone di diverse professioni (soprattutto medici) che lavorano in Libia da oltre un anno (da 2 a 20 anni). In tutto questo tempo abbiamo imparato a conoscere il modello di vita del popolo libico e dichiariamo che pochi cittadini, in altre nazioni del mondo, possiedono le comodità di cui possono godere i libici. Tutti hanno diritto a cure gratuite e i loro ospedali sono dotati del miglior equipaggiamento medico del mondo. In Libia l’istruzione è gratuita e le persone capaci hanno la possibilità di studiare all’estero a spese del governo. Ogni coppia che si sposa, riceve 60.000 dinari libici (circa 50.000 dollari USA) come assistenza economica. Lo stato concede prestiti senza interesse e spesso senza scadenza fissa. Grazie ai sussidi governativi, il prezzo delle automobili è molto più basso che in Europa e ogni famiglia può permettersi di acquistarle. Benzina e pane costano pochi centesimi, gli agricoltori non pagano tasse. Il popolo libico è tranquillo e pacifico, poco incline all’alcool e molto religioso.



Oggi questo popolo sta soffrendo. In febbraio, la vita pacifica di questa gente è stata violata da bande di criminali e da giovani pazzi e drogati, che i media occidentali hanno chiamato per qualche motivo “manifestanti pacifici”. Costoro hanno iniziato a usare armi e ad attaccare stazioni di polizia, sedi governative, reparti militari, provocando una carneficina. Coloro che li guidano, perseguono un obiettivo assai chiaro: creare il caos e impadronirsi del petrolio libico. Hanno raccontato menzogne alla comunità internazionale, dicendo che i libici stanno lottando contro il regime. Diteci, a chi non piacerebbe un “regime” del genere? Se avessimo avuto un simile “regime” in Ucraina o in Russia, non saremmo venuti qui a lavorare, ci saremmo goduti le comodità che potevano offrirci i nostri paesi e avremmo fatto ogni sforzo possibile per far sì che tale “regime” continuasse ad esistere.



Se gli USA e l’UE non hanno nulla da fare, che rivolgano la loro attenzione all’emergenza in Giappone, ai bombardamenti israeliani sulla Palestina, alla sfrontatezza e all’impunità dei pirati somali o alle condizioni degli immigrati arabi in Francia e lascino che siano gli stessi cittadini libici a risolvere i propri problemi interni. Oggi noi vediamo che vogliono trasformare la Libia in un nuovo Iraq. Perpetrare il genocidio di un intero popolo e di coloro che ad esso sono legati. Noi abbiamo prestato il GIURAMENTO MEDICO e non possiamo abbandonare i libici al loro destino, lasciandoli distruggere dalle forze della coalizione; inoltre, sappiamo che quando tutti gli stranieri se ne saranno andati e non sarà rimasto più nessuno a raccontare la verità (il piccolo staff delle missioni diplomatiche è stato ridotto al silenzio già da tempo), gli americani faranno qui una carneficina.

La nostra unica speranza di sopravvivere è una ferma presa di posizione della Russia presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.



Speriamo che Lei, Signor Presidente, e Lei, Signor Primo Ministro, in quanto cittadini russi e in quanto persone coscienziose, non permettiate ai fascisti americani ed europei del 21° secolo di distruggere questo popolo che ama la libertà e chi ha scelto di restare con lui.



Chiediamo perciò con urgenza che la Russia utilizzi il suo diritto di veto, un diritto conquistato con milioni di vite del popolo sovietico durante la II Guerra Mondiale, per fermare questa aggressione contro uno stato sovrano, per chiedere l’immediata cessazione dei bombardamenti degli USA e della NATO e per richiedere l’intervento delle truppe dell’Unione Africana nella zona di conflitto in Libia.



Nota: ai delegati del Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana, accettati tanto dal governo libico quanto dai capi dei ribelli per arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto, non è stato consentito l’ingresso in Libia dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questo atto dovrebbe essere condannato da Russia e Cina, che dovrebbero studiare le risoluzioni dell’UA e sostenere le sue sagge decisioni.



GIU’ LE MANI DALLA LIBIA!



Con rispetto e speranza

nella Vostra saggezza e onestà

i cittadini di Ucraina, Russia e Bielorussia di stanza in Libia



Bordovsky S., Vasilenko, S., Vegerkina A., Henry IV, Henry H., L. Grigorenko, DraBragg, A., Drobot V. Drobot, N., Yemets E., Kolesnikova, T., Kuzin, I., Kuzmenko, B., Kulebyakin V. Kulmenko T., Nikolaev AG, Papelyuk V. Selizar V. Selizar About . Smirnov, O. Smirnova, R., Soloviev DA, Stadnik VA, Stolpakova T. Streschalin G. Stakhovich Yu, Sukacheva L. Sukachev V. Tarakanov, T., Tikhon N. Tikhonov VI, Tkachev AV, Hadareva E., Tchaikovsky, O., Chukhno D. Chukhno O. Yakovenko D. ecc.



[L’elenco completo delle firme sotto l'appello ai capi della Russia e sotto la richiesta di un tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di USA e NATO in Libia].

#14
Ale89

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E dopo questa... Continuate pure a pensare di essere VOI i buoni.. Gli esportatori di democrazia.. I salvatori del Mondo..
Scusate lo sfogo..
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#15
caputo88

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L’operazione militare alleata in Libia segna un importante cambiamento strategico. Washington ha rinunciato ad una guerra di occupazione e ha affidato ai suoi alleati le future operazioni di terra. Thierry Meyssan delinea il nuovo paradigma strategico degli Stati Uniti: la globalizzazione forzata viene interrotta, l’era dei due mondi comincia. [Nella foto: Obama e Robert Gates]

Si dice spesso che i generali non vedano i cambiamenti e preparino la prossima guerra come se dovesse essere simile alla precedente. Questo vale anche per i commentatori politici: interpretano i nuovi eventi, non per quello che sono, ma come se ripetessero quelli che li hanno preceduti.

Quando i movimenti popolari hanno rovesciato Zine el-Abidine Ben Ali in Tunisia e Hosni Mubarak in Egitto, molti hanno pensato di assistere ad una “rivoluzione gelsomino” [1] e a una “rivoluzione dei loti” [2], come nelle rivoluzioni colorate che la CIA e il NED hanno organizzato a catena dopo la fine dell’URSS. Alcuni fatti sembrano dar loro ragione, come la presenza di agitatori serbi al Cairo o la diffusione di materiale di propaganda [3]. Ma la realtà era ben diversa. Queste rivolte erano popolari e Washington ha cercato senza successo di cavalcarle. In definitiva, i tunisini e gli egiziani non aspiravano alla American Way of Life, ma piuttosto a sbarazzarsi dei governi fantoccio manipolati dagli Stati Uniti.

Quando i disordini sono esplosi in Libia, questi stessi commentatori hanno cercato di recuperare il loro ritardo sulla realtà, spiegando che questa volta si trattava di una sollevazione popolare contro il dittatore Gheddafi. Hanno poi accompagnato i loro editoriali dalle dolci bugie presentando il colonnello come un eterno nemico della democrazia occidentale, dimenticando che collaborava attivamente con gli Stati Uniti da otto anni [4].

Eppure, se guardiamo più da vicino, quello che sta accadendo in Libia è la prima riemersione dell’antagonismo storico tra la Cirenaica da un lato, e la Tripolitania e il Fezzan dall’altro. E’ solo in modo secondario che questo conflitto ha preso una piega politica: l’insurrezione s’identifica con i monarchici, presto raggiunti da ogni sorta di gruppi di opposizione (nasseriani, komeinisti, comunisti, islamisti ecc…). In ultima analisi, in nessun momento l’insurrezione si è diffusa in tutto il paese.

Qualsiasi voce che denuncia la fabbricazione e la strumentalizzazione di questo conflitto da parte di un cartello coloniale raccoglie contestazioni. L’opinione della maggioranza afferma che l’intervento militare straniero serve al popolo libico per liberarsi dal suo tiranno, e che gli errori della coalizione non possono essere peggiori del crimine di genocidio.
Tuttavia, la storia ha già dimostrato la fallacia di questo ragionamento. Per esempio, molti iracheni contrari a Saddam Hussein e che hanno accolto come dei salvatori le truppe occidentali dicono che, otto anni e un milione di morti dopo, la vita era migliore nel loro paese al tempo del despota.

È importante sottolineare che l’interpretazione suddetta si basa su una serie di false convinzioni.

Contrariamente alla propaganda occidentale, e a ciò che sembra dar credito la vicinanza cronologica e geografica con la Tunisia e l’Egitto, il popolo libico non s’è sollevato contro il regime di Gheddafi. Ha ancora la legittimazione popolare in Tripolitania e Fezzan, regioni in cui il colonnello aveva distribuito armi alla popolazione per resistere all’avanzata dei ribelli nella Cirenaica e alle potenze straniere.

Contrariamente alla propaganda occidentale e a ciò che sembra dar sostegno alle dichiarazioni furiose del “Fratello Leader” stesso, Gheddafi non ha mai bombardato la propria popolazione civile. Ha usato la forza militare contro il colpo di stato, senza badare alle conseguenze per la popolazione civile. Questa distinzione non è importante per le vittime, ma nel diritto internazionale separa i crimini di guerra dai crimini contro l’umanità.

Infine, contrariamente a ciò che afferma la propaganda occidentale e il romanticismo rivoluzionario da operetta di Bernard Henry Levy, la rivolta in Cirenaica non ha nulla di spontaneo. E’ stata preparata dal DGSE, dal MI6 e dalla CIA. Per formare il Consiglio nazionale di transizione, i francesi si sono appoggiati alle informazioni e ai contatti di Massoud El-Mesmar, ex compagno e confidente di Gheddafi, che disertò nel novembre 2010 e ha ricevuto asilo a Parigi [5]. Per ripristinare la monarchia, gli inglesi hanno riavviato le reti del principe Muhammad al-Sanusi, pretendente al trono del Regno Unito di Libia, attualmente in esilio a Londra, e hanno distribuito dappertutto la bandiera rosso-nero-verde con la mezzaluna e la stella [6]. Gli USA hanno preso il controllo economico e militare rimpatriando gli esiliati libici a Washington, per occupare i ministeri chiave e lo stato maggiore del Consiglio Nazionale di Transizione.

Inoltre, il dibattito sull’opportunità di un intervento internazionale è l’albero che nasconde la foresta. Se vogliamo fare un passo indietro, ci rendiamo conto che la strategia delle potenze occidentali è cambiata. Certo, continuano ad usare ed abusare della retorica della prevenzione dei genocidi e del dovere agli interventi umanitari dei fratelli maggiori, perfino anche il sostegno fraterno ai popoli che lottano per la loro libertà, purché aprano i loro mercati, ma le loro azioni sono diverse.

La “dottrina Obama”

Nel suo discorso alla National Defense University, Obama ha definito alcuni aspetti della sua dottrina strategica sottolineando ciò che la distingue da quella dei suoi predecessori, Bill Clinton e George W. Bush [7].

Ha subito detto: “In un solo mese, gli Stati Uniti sono riusciti con i loro partner internazionali a mobilitare un’ampia coalizione per ottenere un mandato internazionale per proteggere i civili, per frenare l’avanzata di un esercito, per evitare un massacro e per stabilire, con gli alleati e partner, una no-fly zone. Per mettere in prospettiva la velocità della nostra risposta militare e diplomatica, ricordiamoci che nel 1990, quando le popolazioni sono state brutalizzate in Bosnia, c’è voluto più di un anno alla comunità internazionale per intervenire con la potenza aerea per proteggere quei civili. Ci sono voluti solo 31 giorni questa volta“.

Questa rapidità contrasta con il periodo di Bill Clinton. Si spiega in due modi. Da un lato gli Stati Uniti del 2011 hanno un disegno organico, vedremo quale, mentre negli anni ’90 erano esitanti tra il godere del crollo dell’URSS per arricchirsi commercialmente o costruire un impero senza rivali.

D’altra parte, la politica del “reset” (azzeramento) dell’amministrazione Obama, volto a sostituire il confronto con la trattativa, ha parzialmente portato i suoi frutti con la Russia. Benché sia una dei grandi perdenti della guerra economica alla Libia, l’ha accettata in linea di principio – anche se i nazionalisti Vladimir Putin [8] o Vladimir Chamov [9] hanno dei mal di pancia-.

Poi, nello stesso discorso del 28 marzo 2011, Obama ha continuato: “La nostra alleanza più efficace, la NATO, ha preso il comando per l’esecuzione dell’embargo sulle armi e la no-fly zone. La scorsa notte, la NATO ha deciso di prendersi maggiori responsabilità nella protezione dei civili libici. Gli Stati Uniti svolgeranno un ruolo di sostegno (…) – soprattutto in termini di intelligence, supporto logistico, assistenza nella ricerca e soccorso, e del disturbo delle comunicazioni del regime. Grazie a questa transizione verso una coalizione più ampia, basata sulla NATO, i rischi ed i costi di queste operazioni – per le nostre truppe e i nostri contribuenti – saranno notevolmente ridotti“.

Dopo aver messo avanti la Francia e aver finto di esservi trascinata, Washington ha ammesso che ha “coordinato” tutte le operazioni militari fin dall’inizio. Ma ciò per annunciare l’immediato trasferimento di questa responsabilità alla NATO.
In termini di comunicazione interna, è ovvio che il Nobel per la Pace Barack Obama non vuole dare l’immagine di un presidente che guida il suo paese in una terza guerra al mondo musulmano, dopo l’Afghanistan e l’Iraq. Tuttavia, questo problema di pubbliche relazioni non dovrebbe dimenticare l’essenziale: Washington non vuole più essere il poliziotto del mondo, ma intende esercitare una leadership sulle grandi potenze, intervenendo a nome dei loro interessi collettivi e mutualizzandone i costi. In questo contesto, la NATO diventerà la struttura di coordinamento militare d’eccellenza, in cui la Russia, o anche più tardi la Cina, dovrebbero essere coinvolte.

Infine, Obama ha concluso presso la National Defense University: “Ci saranno occasioni in cui la nostra sicurezza non sarà minacciata direttamente, ma dove i nostri interessi e i nostri valori lo saranno. La storia ci mette faccia a faccia con alcune delle sfide che minacciano la nostra umanità e la nostra sicurezza comune – intervenire in caso di calamità naturali, per esempio, o impedire il genocidio e per preservare la pace, la sicurezza regionale e mantenere il flusso del commercio. Questi non sono forse problemi unicamente statunitensi, ma sono importanti per noi. Questi sono problemi che devono essere risolti. E in queste circostanze, noi sappiamo che gli Stati Uniti, come nazione più potente del mondo, saranno spesso chiamati a fornire assistenza.”

Barack Obama rompe con il discorso infuocato di George W. Bush che pretendeva di estendere al mondo l’American Way of Life con la forza delle baionette. Mentre ammette di schierare le risorse militari per cause umanitarie od operazioni di mantenimento della pace, non contempla la guerra che per “la sicurezza regionale e mantenere il flusso del commercio“.

Questo merita una spiegazione approfondita.

Il mutamento strategico

Per convenzione o convenienza, gli storici chiamano ogni dottrina strategica intitolandola al presidente che la implementa. In realtà, la dottrina strategica è oggi sviluppata dal Pentagono e non dalla Casa Bianca. Il cambiamento fondamentale non si è verificato con l’ingresso di Barack Obama nello Studio Ovale (gennaio 2009), ma con quello di Robert Gates al Pentagono (dicembre 2006). Gli ultimi due anni della presidenza Bush non uscivano dalla “Dottrina Bush“, ma prefiguravano la “dottrina Obama“. E’ perché ha trionfato che Robert Gates progetta di andare in pensione orgoglioso del lavoro svolto [10].

Per fare capire, distinguerei quindi una “dottrina Rumsfeld” e una “dottrina Gates“.
Nella prima, l’obiettivo è quello di cambiare i regimi politici, uno per uno, in tutto il mondo, finché non sono tutti compatibili con quello degli Stati Uniti. Questo si chiama “democrazia di mercato” essendo in realtà un sistema oligarchico in cui i pseudo-cittadini sono protetti dall’azione arbitraria dello stato e possono scegliere i loro leader, senza essere in grado di scegliere le loro politiche. Questo obiettivo ha portato all’organizzazione delle rivoluzioni colorate come all’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Eppure, dice Barack Obama nello stesso discorso: “Grazie ai sacrifici straordinari delle nostre truppe e alla determinazione dei nostri diplomatici, siamo fiduciosi per il futuro dell’Iraq. Ma il cambiamento di regime ha richiesto otto anni, costando migliaia di vite americane e irachene e quasi mille miliardi di dollari. Non possiamo permettere che ciò accada di nuovo in Libia.“

In breve, questo obiettivo di una pax americana, che protegge e domina tutti i popoli della terra, è economicamente irrealizzabile. Al pari dell’idea di convertire l’umanità all’American Way of Life. Un’altra visione imperiale, più realistica, si è gradualmente imposta al Pentagono. E’ stata resa popolare da Thomas PM Barnett nel suo libro The Pentagon’s New Map. War and Peace in the Twenty-First Century (La Nuova Mappa del Pentagono. Guerra e pace nel XXI.mo secolo).

Il mondo futuro sarà diviso in due. Da un lato il centro stabile, costruito intorno agli Stati Uniti dai paesi sviluppati e più o meno democratici. Dall’altro una periferia, lasciata a se stessa, in preda a sottosviluppo e violenza. Il ruolo del Pentagono sarebbe quello di garantire l’accesso del mondo civile che ha bisogno delle ricchezze naturali della periferia, che non sa utilizzarle.

Questa visione presuppone che gli Stati Uniti non siano più in concorrenza con altri paesi sviluppati, ma ne diventino il loro leader nella sicurezza. Sembra possibile con la Russia, da quando il presidente Dmitry Medvedev ha aperto la strada alla cooperazione con la NATO, durante la parata per commemorare la fine della Seconda Guerra Mondiale, e poi al vertice di Lisbona. Questo può essere più complicato con la Cina, la cui nuova dirigenza sembra più nazionalista di quella precedente.

Dividere il mondo in due zone, stabile e caotica, dove la seconda è il serbatoio naturale della prima, solleva ovviamente la questione dei confini. Nel lavoro di Barnett (2004), i Balcani, l’Asia centrale, la maggior parte dell’Africa, le Ande e l’America centrale sono gettate nelle tenebre. Tre stati-membri del G20, di cui uno è anche membro della NATO, sono condannati al caos: Turchia, Arabia Saudita e Indonesia. Questa mappa non è statica e dei ripescaggi restano possibili. Così, l’Arabia Saudita sta guadagnando i suoi galloni schiacciando nel sangue la rivolta in Bahrain.

Dal momento che non è più una questione di occupare paesi, ma solo di mantenere delle aree di sfruttamento e di effettuare incursioni in caso di necessità, il Pentagono deve estendere a tutta la periferia il processo di frammentazione, di “rimodellamento”, iniziato nel “più vasto Medio Oriente” (Greater Middle-East). Lo scopo della guerra non è più lo sfruttamento diretto di un territorio, ma la disintegrazione di ogni possibilità di resistenza. Il Pentagono si sta concentrando sul controllo delle vie marittime e sulle operazioni aeree per esternalizzare il più possibile le operazioni di terra ai suoi alleati. Questo fenomeno è appena iniziato in Africa con la divisione del Sudan e le guerre in Libia e in Costa d’Avorio.

Se, in termini di discorso democratico, il rovesciamento del regime di Muammar Gheddafi sarebbe un traguardo gratificante, non è né necessario né auspicabile dal punto di vista del Pentagono. Nella “dottrina Gates”, è meglio mantenere un isterico e umiliato Gheddafi nella ridotta tripolitana che una Grande Libia, capace un giorno di resistere di nuovo all’imperialismo.

Naturalmente questa nuova visione strategica non sarà indolore. Ci saranno dei flussi di migranti, che sono sempre più in fuga dall’inferno della periferia per entrare nel paradiso del centro. E ci saranno quegli umanisti incorreggibili i quali pensano che il paradiso degli uni non dovrebbe essere costruito sull’inferno degli altri.

È questo il progetto in gioco in Libia ed è in relazione a esso che ognuno deve essere determinato.


* Thierry Meyssan, analista politico francese, fondatore e presidente del Réseau Voltaire e della conferenza Axis for Peace. Pubblica rubriche settimanali che si occupano di politica estera nella stampa araba e russa.




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